L’euro è una moneta destinata a crollare quanto prima, sotto la spinta di nuove forze politiche euroscettiche e antisistema

L’uscita dall’euro non è più un tabù

Il 31 gennaio 2017 si è tenuto un incontro “Oltre l’Euro” a Milano, organizzato da Matteo Salvini, con la partecipazione dell’europarlamentare Marco Zanni e degli economisti anti-euro Claudio Borghi e Alberto Bagnai. In quell’occasione, è stata presentata la revisione del manuale “Oltre l’Euro per tornare grandi”. All’incontro ha assistito anche il giornalista Mario Giordano, che su “La Verità” osserva come l’uscita dall’euro non sia più considerata un tabù rispetto al passato. Giordano apprezza le parole del consigliere per il commercio statunitense dell’amministrazione americana, Peter Navarro, contro Angela Merkel (Mario Giordano, Questo sistema crolla. Ma la politica parla delle liti nel Pd, “La Verità”, 2 febbraio 2017). Navarro ha affermato che la Germania usa un Euro svalutato rispetto al marco per sfruttare gli altri paesi europei e gli Stati Uniti, incolpando inoltre la Germania per il mancato accordo commerciale tra USA e UE (Trump, offensiva contro la Germania. Consigliere sul commercio: “L’euro è un marco travestito con cui sfrutta Usa e Ue”, “Il Fatto Quotidiano”, 31 gennaio 2017). Giordano paragona la costruzione della moneta unica alla costruzione di una casa sull’argilla, destinata inevitabilmente al crollo. Secondo Alberto Bagnai, uscendo dall’euro “avremmo due vantaggi ben distinti: uno politico e uno economico. Ci sottrarremmo al ricatto dell’Europa, con una BCE priva di responsabilità politica e caratterizzata da grandi interessi tedeschi”. “Per la nostra economia l’euro è una moneta troppo pesante. Eliminandola, ripartirebbe l’economia e si creerebbero nuovi posti di lavoro” (Gianluca Baldini, Mutui più leggeri e consumi su. Perché ci serve una lira svalutata, “La Verità”, 2 febbraio 2017).

 

L’Italexit è probabile. Ecco perché sarebbe salutare per l’economia italiana

Sul sito “scenarieconomici.it” viene riportata una parte dell’articolo dell’analista tedesco della “UBS” e della “Reuter”, George Dorgan, intitolato Italian Euro Exit: Why it Might Come in some Years and Why it Will Help the Euro Zone and Italy (George Dorgan (UBS-Reuter): perche’ l’uscita dall’Euro dell’Italia dovrebbe avvenire entro qualche anno e perche’ cio’ aiutera’ l’intera economia europea, “scenarieconomici.it”, 13 ottobre 2013). Dorgan pensa “che l’Italia, a differenza dell’Argentina nel 2001 e nella Spagna di oggi, sopravvivrebbe senza particolari problemi ad un uscita dall’Euro e dal cambio fisso. Vista l’opinione pubblica e politica in Italia e in Germania questo scenario ha una certa probabilità di accadere nei prossimi 2-3 anni”. Considerando che l’articolo è stato redatto nel 2013, Dorgan ipotizza che l’Italia lasci la moneta unica in tempi molto brevi. L’analista elenca i motivi per i quali l’Italia potrebbe uscire dall’Euro: l’ascesa del Movimento 5 Stelle, l’alto tasso di euroscetticismo dell’opinione pubblica, il crollo dei consumi e l’avanzo primario che, una volta abbandonato l’euro, renderebbe molto competitivo il costo del lavoro. Inoltre, il surplus commerciale beneficerebbe di una nuova lira svalutata. “Se resterà l’Euro, le forze del libero mercato ridurranno la quota del settore pubblico e distruggeranno gli Stati sociali di Francia e paesi Mediterranei” (Ibidem). Infatti, le teorie economiche ortodosse, che puntano su austerità e competitività, restano ancora prevalenti. Tuttavia, l’Italia potrà ritornare competitiva restando nella zona euro solo se “[saliranno] i salari in Germania (a causa della progressiva riduzione della disoccupazione) e nei paesi dell’est Europa. Questo processo è molto doloroso e può richiedere molti anni o addirittura decenni, e potrebbe anche non verificarsi” (Ibidem). Invece, un eventuale abbandono dell’euro da parte dell’Italia avrebbe rischi molto limitati per vari motivi: 1) le grandi riserve di oro di Bankitalia allontanano lo spettro dell’iperinflazione; 2) l’Italia vanta un basso debito implicito - ovvero il debito pubblico relativo ai costi a lungo termine della spesa sociale, pensionistica e sanitaria; 3) La somma tra debito pubblico e debito privato – ossia quello contratto dai cittadini privati – vedrebbe l’Italia in linea con gli altri stati europei; 4) L’Italia ha un elevato tasso di risparmio e ricchezza privata; 5) “Un forte aumento di interesse nominale (se succedesse davvero)[…] farebbe molti meno danni in Italia che non in Spagna, perché il livello di indebitamento privato in Spagna è molto più alto che in Italia” (Ibidem).
Anche l’economista Antonio Maria Rinaldi su “scenarieconomici.it” considera inevitabile la disgregazione della moneta unica. Secondo Rinaldi, la Germania non sarà disposta a redistribuire in Europa il proprio surplus commerciale. Rilanciando il concetto de “L’Europa a due velocità”, Angela Merkel fa trapelare la volontà di Berlino di abbandonare gli Stati della periferia UE al proprio destino: “Il “sogno europeo” dato in pasto all’opinione pubblica negli ultimi 25 anni non è stato altro che un gigantesco paravento per consentire ai soliti noti di fare sfacciatamente i propri interessi a scapito di moltissimi” (Antonio M. Rinaldi, L’euro è finito si salvi chi può, “scenarieconomici.it”, 5 febbraio 2017).

 

L’euro non è mai stato indispensabile, ora è divenuto dannoso per la domanda e la competitività dell’Italia 

L’economista Piergiorgio Gawronski su “Il Fatto Quotidiano” evidenzia come l’Italia si trovi in una depressione della domanda: “Se le famiglie, timorose del futuro, non comprano, le imprese non vendono, non ricavano, devono tagliare costi e produzione, licenziano, spaventano ancor più, in un circolo vizioso profondamente distruttivo. Difatti Draghi sta stampando trilioni di euro, che cerca di far arrivare alle famiglie (via prestiti bancari: un modo troppo indiretto!) per indurle a spendere” (Piergiorgio Gawronski, Euro, restare o uscire, “Il Fatto Quotidiano”, 4 febbraio 2017). Impossibile negare, secondo Gawronski, che la flessibilità del cambio aiuti la ripresa economica. Inoltre, la moneta unica non è mai stata essenziale, secondo Gawronski, per la costruzione di un mercato unico europeo, “tanto è vero che il mercato unico europeo ha funzionato per decenni e bene senza l’euro” (Ibidem). Al momento della sua costruzione, l’euro è stato desiderabile per la classe dirigente europea, poiché si temeva una distorsione della competitività data dalle ripetute svalutazioni. Tale scenario però non si è mai verificato, anzi, non è possibile riequilibrare l’attuale eccesso di competitività della Germania. Gawronski dimostra come “nel 1988 a un eccesso di competitività della Germania si sia potuto rapidamente ovviare (rivalutando il marco); mentre dal 2004 la presenza dell’euro impedisce un ritorno all’equilibrio, infranto da un’inflazione tedesca illegalmente più bassa del 2% concordato in Europa”. “Perciò un ritorno alla lira consentirebbe all’Italia solo di annullare il vantaggio competitivo predatorio accumulato dalla Germania. Ma non di accumulare a sua volta un vantaggio competitivo predatorio” (Ibidem).

 

Un addio concordato all’Euro

Dopo Donald Trump e Theresa May, in tempi brevi anche altri esponenti politici nazionalisti potrebbero salire al potere. Nel 2017 si terranno le elezioni politiche in Olanda (marzo), Francia (aprile), Germania (agosto) e probabilmente anche in Italia. In tutti i paesi citati, il consenso delle forze politiche euroscettiche è in crescita, e una loro vittoria in uno di questi paesi potrebbe rivelarsi fatale per l’Unione Europea e portare ad un addio concordato alla moneta unica. Ritornare a una comunità intergovernativa significherebbe abbandonare definitivamente la distopia dell’Unità politica europea, una visione ideologica, legata al periodo storico post-bellico che non rispecchia la realtà attuale: “Stati Uniti d’Europa, euro, integrazione, globalizzazione, solidarietà [sono] tutti falsi mantra finalizzati al solo scopo di togliere ai paesi la propria sovranità disarcionando i cittadini dal loro sacrosanto diritto nel decidere i propri destini per affidarli a delle élite autoreferenziali di non eletti per favorire unicamente grandi potentati di interessi che non avrebbero altrimenti avuto possibilità di perseguire nello stesso modo e intensità i loro obiettivi” (Antonio M. Rinaldi, L’euro è finito, cit.).

Gloria Gattoni, 14 febbraio 2017

I vantaggi dell’euro e le incognite dell’uscita

Gianni Balduzzi, giornalista de “Linkiesta.it”, nell’articolo Altro che povertà, l’euro e la globalizzazione ci hanno salvato lo stipendio dimostra come l’euro abbia portato ad un generale abbassamento dei prezzi, mitigando così gli effetti della crisi economica. Scrive Balduzzi: “Una conferma in più ci arriva dai dati mensili dell’Istat, sull’inflazione: in generale gli andamenti dei prezzi dei beni, per esempio abbigliamento e calzature, sono al di sotto del tasso medio. A innalzare l’inflazione sono i servizi, primi fra tutti quelli sanitari, ma anche quelli all’istruzione. Guarda caso proprio i servizi, che per ovvi motivi sono made in Italy, mentre i beni, i manufatti, sempre più sono di provenienza estera, importati. È la globalizzazione, in altre parole. Quella che in questi anni ha permesso ai prezzi di diminuire, tramite l’enorme possibilità di scelta di beni da importare da tutto il mondo”.
La deflazione o l’inflazione a zero non rispecchiano una crisi di domanda, ma sono una conseguenza di variazioni nell’offerta, sempre più variegata e meno costosa, grazie all’aumento dell’import e all’affermarsi di nuove tecnologie: “Anzi è probabile che la disponibilità di molti prodotti low cost abbia alleggerito la crisi per molte fasce di popolazione, soprattutto i più poveri” (Ibidem).
Inoltre, l’euro ha garantito la stabilità dei prezzi e accresciuto il mercato unico europeo, mentre ritornare alla lira significa annullare tali benefici, soprattutto per i percettori di redditi fissi. Il vicedirettore de “Il Fatto Quotidiano”, Stefano Feltri, evidenzia come l’euro non sia una mera “questione procedurale”, ma uno degli elementi costitutivi dell’Unione Europea, un’entità che ha salvaguardato pace, libertà e democrazia. Rinunciarvi significherebbe tornare indietro ai conflitti intestini che sconvolsero l’Europa sessant’anni fa (Stefano Feltri, Uscire dall’euro non è solo difficile, è un salto indietro di sessant’anni, “Il Fatto Quotidiano”, 3 febbraio 2017). Feltri ricorda come in Slovenia l’85% della popolazione sia favorevole all’euro, a 10 anni dal suo ingresso nella moneta unica. Proprio da Lubiana il presidente della BCE, Mario Draghi, ribadisce che l’euro è politicamente irreversibile: “L’euro non è stato una fuga in avanti, un modo per tenere impegnate le élite e le burocrazie in assenza di un’unione politica, e neppure un progetto di conquista tedesco: semplicemente, per costruire un mercato unico la moneta unica era ‘desiderabile se non addirittura essenziale’ (Ibidem). Le ripetute svalutazioni rischiavano di distorcere la competitività. Ora chi decidesse di uscire dalla moneta unica per essere libero di svalutare, spingerebbe gli altri paesi ad alzare barriere o ad usare la leva della svalutazione. Quindi, l’iniziale vantaggio competitivo dato dalla svalutazione si annullerebbe. Naturalmente, la gestione dell’euro si è rivelata fallace sotto molti aspetti: “Indebolire il processo di convergenza, reclamare spazi nazionali di azione per proteggere questa o quella categoria prima delle elezioni, violare le regole in modo sistematico, rifiutare ogni ulteriore condivisione di sovranità: sono questi i comportamenti – di molti governi e di parte (minoranze rumorose) dei loro elettori – che deformano il progetto dell’euro trasformandolo in una gabbia invece che nella tappa intermedia verso un’Unione sempre più coesa” (Ibidem).
Lucio di Gaetano, opinionista del sito “noisefromamerika.org”, si chiede: “Un minuto dopo la liberazione dalla ‘dittatura di Bruxelles’ che si fa? A chi lo vendiamo il debito pubblico italiano? Come finanziamo l’enorme macchina amministrativa di questo infelice Paese? Chi sostituisce la BCE nel ruolo di stampella delle banche italiane piene zeppe di sofferenze?” (Lucio di Gaetano, Brexit: ma fate sul serio?, “noisefromamerika.org”, 28 giugno 2016).

 

Uscire dall’euro significa limitare notevolmente l’influenza geopolitica dell’Europa

Nessuno è in grado di prevedere le conseguenze economiche di tale eventualità. Le conseguenze politiche, però, sono maggiormente prevedibili: il rischio di irrilevanza geopolitica dell’Europa, a vantaggio dell’America di Donald Trump e della Russia di Vladimir Putin. Secondo il giornalista Federico Rampini, Trump sta dando nuova legittimità alle nuove forze politiche euroscettiche. Prima di Trump “mai nessun altro presidente degli Stati Uniti, da quando nacque la Comunità europea, ne aveva augurato apertamente il fallimento e la disintegrazione. Non è davvero una novità da poco, avere a Washington un leader che esorta gli europei ad andarsene dalla loro casa comune. Tra l’altro questo è un magnifico regalo a Vladimir Putin: un’Europa spappolata è una preda ben più facile per chi intende ripristinare influenze egemoniche” (Federico Rampini, Se Trump incita a uscire dall’UE, “La Repubblica”, 16 gennaio 2017). Secondo il giornalista francese Pierre Haski “L’Unione Europea rischia davvero di crollare se alla mancanza di unità interna si aggiungono i violenti attacchi di Trump e Putin. Può bastare un buon nemico per ritrovare il senso di coesione? No, ma è un primo passo. Anche solo per questo, forse gli europei un giorno potranno ringraziare Donald Trump” (Pierre Haski, Trump è un nemico utile per l’Europa, “L’Internazionale”, 2 febbraio 2017).

 

Perché un crollo dell’euro resta improbabile

Il giornalista Claudio Antonelli, sul quotidiano “La Verità”, reputa bassa la probabilità di un’uscita dall’euro, “perché le spinte esogene pur forti mirano a vantaggi economici e difficilmente a rivoluzioni troppo drastiche. Appare altrettanto chiaro che la vera forza in grado di rompere la moneta unica sarebbe la Germania” (Claudio Antonelli, Inflazione, debito e produttività. I pericoli della moneta nazionale, “La Verità”, 2 febbraio 2017). Nello stesso articolo viene intervistato il prof. Riccardo Puglisi, docente di Economia all’Università di Pavia. Riguardo un tracollo dell’euro, Puglisi spiega che il primo problema sarebbe la gestione dell’inflazione: “Il rischio vero è che la sovranità in Italia, e ce lo insegna la storia, tende ad assoggettare la banca centrale alle logiche politiche del tesoro. Senza un freno si arriverebbe all’iperinflazione, rendendo drammatica la gestione del rifinanziamento del debito” (Ibidem). Il presidente del BCE, Mario Draghi, ha già affermato che in caso di uscita dall’euro Bankitalia dovrebbe ripagare il proprio debito per circa 300 miliardi di euro nei confronti della BCE, debito in gran parte dovuto all’azione del Quantitative Easing. La Spagna si trova più o meno nella stessa situazione debitoria dell’Italia, mentre la Bundesbank ha un saldo attivo di 754 miliardi di euro (Andrea Terzi, Chi vuole uscire dall’Euro passi prima alla cassa, “lavoce.info”, 31 gennaio 2017). Se la Germania dovesse uscire dall’euro, ne uscirebbe dall’alto con forti attese di rivalutazione di un nuovo marco. L’Italia si troverebbe invece nella situazione opposta. L’esperto di risparmio e previdenza, Beppe Scienza, su “Il Fatto Quotidiano” cita il precedente della Grecia: “in Grecia bastò la percezione di un possibile ritorno alla dracma, per provocare prelievi massicci di contanti in banca, trasferimenti di capitali all’estero in modo lecito o illecito, problemi di cassa per la finanza pubblica ecc. Tutto ciò accompagnato per es. da mancanza di soldi per gli ospedali, con conseguenze che è facile immaginare. Per bloccare il deflusso di denaro, furono chiuse le banche per 20 giorni e riaperte solo con l’introduzione dei cosiddetti capital controls, tuttora in vigore: tetto di 60 euro al giorno per i prelievi in contanti, fortissime restrizioni per i pagamenti all’estero ecc” (Beppe Scienza, Uscita dall’Euro ovvero l’inizio di un disastro, “Il Fatto Quotidiano”, 21 ottobre 2016).
In conclusione, l’euro non crollò nemmeno dinanzi allo spettro di default della Grecia, tanto meno potrà crollare in questo momento storico. Stefano Feltri ricorda come l’euro sia “la base per rendere le nostre società sempre più aperte, difendendo valori purtroppo sempre meno condivisi in quest’epoca dove gli autocrati e i dittatori diventano sempre più popolari”; “Cancellare l’euro significherebbe rinunciare a molto altro. A tutto quello che vogliamo salvare” (Stefano Feltri, L’Euro e il martello stupido dei sovranisti, “Il Fatto Quotidiano”, 5 febbraio 2017).