Reato di tortura nella legislazione italiana

Con la legge 14 luglio 2017 n. 110 l'Italia regolamenta il reato di tortura. La legge segue alla condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei Diritti dell’Uomo per le torture subite da Arnaldo Cestaro durante il G8 di Genova del 2001. Si discute sull'efficacia della legge nel tutelare sia le vittime che i rappresentanti delle forze dell'ordine che svolgono il proprio lavoro correttamente.

TESI FAVOREVOLI

TESI CONTRARIE

01 - La nuova legge 14 luglio 2017, n. 110 introduce finalmente in Italia il reato di tortura, nel rispetto della Convenzione del 1984

L’introduzione del reato di tortura è un passo di civiltà giuridica a tutela dei cittadini. La legge precisa come non debba essere considerata tortura l'azione di un pubblico ufficiale nell'ambito della legittimità delle sue funzioni, ma solo quando ci sia l'abuso di potere. L’Italia estende l'istituto anche ai privati, così il reato può essere contestato anche ad altri (ad es. agli scafisti).

La legge 14 luglio 2017, n. 110 diverge da quanto stabilito dalla Convenzione di New York del 1984. Si teme che alcuni casi di tortura non potranno essere perseguiti, poiché crea delle scappatoie per l’impunità. La legge potrà compromettere l’efficacia del respingimento di chiunque possa paventare un rischio di essere torturato nel proprio paese, creando un ostacolo al rimpatrio dei migranti.

02 - La legge italiana sul reato di tortura tutela sia le vittime che i membri delle forze dell'ordine che svolgono il proprio lavoro in modo legittimo

La legge 14 luglio 2017 n. 110 tutela sia le vittime che i rappresentanti delle forze dell'ordine che svolgono il proprio lavoro in modo legittimo. Introduce il concetto di “dolo generico”, ossia, il pubblico ufficiale è punito a prescindere dallo scopo che si fosse preposto. Inoltre, è introdotto anche il concetto di reato comune, perché spesso vessazioni e soprusi sono attuati da persone normali.

La legge 14 luglio 2017 n. 110 non punisce la tortura, ma criminalizza le forze dell'ordine, esponendo i poliziotti a denunce strumentali. C’è il rischio dell'effetto “disarmo psicologico” delle forze dell'ordine, che potrebbero non sentirsi sereni nello svolgere il loro lavoro. Ciò deriva da un'inversione culturale: lo Stato difende chi commette reati e non chi tutela i cittadini.