Nr. 11
Pubblicato il 14/06/2015

Eutanasia

FAVOREVOLE O CONTRARIO?

Il dibattito sulla liceità dell’eutanasia occupa da anni esponenti del mondo scientifico, politico, religioso. Le variegate posizioni e la difficoltà di risoluzione ne rispecchiano la natura profondamente problematica. La questione viene analizzata da differenti punti prospettici e tocca una serie di sottoproblemi. Prima di tutto si affronta il tema filosofico-giuridico della legittimità etico-politica dell’autorità statale di legiferare in materia di vita e di morte del singolo. È palese che la grande dicotomia sia quella che intercetta le convinzioni religiose, o laiche, dei singoli autori.
Inoltre si analizzano gli effetti che la legalizzazione dell’eutanasia potrebbero portare sul numero e sulla tipologia di casi coinvolti, riflettendo se permettere le pratiche eutanasiche porterebbe – o meno – a un aumento dei casi e, soprattutto, a delle modifiche nella mentalità comune che verrebbe, così, sempre più educata ad accettare l’eutanasia.
Una questione collegata all’eutanasia è quella delle dichiarazioni anticipate di trattamento. Si discute sulla loro validità, e prevalentemente sulla conflittualità, o meno, tra il diritto costituzionale al rifiuto delle terapie (art. 32 della Costituzione italiana) e il diritto costituzionale alla vita.
Il dibattito si sposta, inoltre, sulla figura e sul ruolo del medico, sulla deontologia professionale e sul rapporto fiduciario tra medico e paziente.


IL DIBATTITO IN 2 MINUTI:

01 - L’eutanasia è l’espressione massima del rispetto della dignità umana e della libertà di autodeterminazione
02 - La pratica dell’eutanasia entra in conflitto con la deontologia medica

L’eutanasia contraddice l’essenza stessa della professione e della deontologia medica nel suo nucleo paradigmatico: l’impegno alla difesa e al rispetto della vita umana. La legge punisce con la radiazione dall’albo quei medici che, attuando pratiche di eutanasia, disattendono alla propria missione procurando la morte.

Il medico si impegna a garantire una buona vita e, nel caso, ad alleviare le sofferenze dovute a stati vegetativi incurabili. Legalizzare l’eutanasia rafforzerebbe il rapporto di fiducia tra il paziente e il medico: il malato terminale potrebbe vedere nel medico colui che può recargli aiuto anche nell’emergenza di una scelta estrema.

03 - La sospensione degli alimenti e dell’idratazione viola il diritto all’assistenza

La somministrazione di alimenti e idratazione in pazienti in stato vegetativo è un atto assistenziale alla vita del paziente e non una terapia medica: può essere prescritta senza violare il diritto al rifiuto dell’accanimento terapeutico. La sospensione di tale trattamento è equiparabile all’eutanasia omissiva e non può essere decisa dal paziente nelle dichiarazioni anticipate di trattamento.

La somministrazione di alimenti e idratazione in pazienti in stato vegetativo ha un carattere terapeutico, perché soltanto i medici possono prescriverla e sottende conoscenze di tipo scientifico. Secondo quanto stabilità dall’art. 32 della Costituzione, il paziente deve avere il diritto di rifiutare quello che considera essere un accanimento terapeutico.

04 - Non si possono valutare attendibili le dichiarazioni anticipate di trattamento del paziente

Le dichiarazioni anticipate sul trattamento sanitario in caso di futuro stato vegetativo non assicurano il requisito della loro persistenza, ossia dell’attualità di queste nel momento in cui concretamente si determinino le condizioni per cui il medico debba intervenire.

Le dichiarazioni anticipate sul trattamento sanitario in caso di futuro stato vegetativo hanno validità anche in tempi lontani dalla sua redazione, in quanto, all’atto della sua sottoscrizione, il soggetto era consapevole delle sue conseguenze a lungo termine.

05 - Legalizzare l’eutanasia e il suicidio assistito comporta un incontrollato incremento di tipologie di persone coinvolte

Legalizzare l’eutanasia è il primo passo verso una trasformazione psicologica collettiva che deteriora il valore della vita. La pratica dell’eutanasia si diffonderebbe non solo tra i malati terminali ma anche a coloro che, in base a criteri vaghi o puramente economici, potrebbero essere considerati non degni di vivere, perché vecchi, depressi o costosi per la società.

Legalizzare l’eutanasia non determina necessariamente un ricorso più massiccio ad essa, poiché la libera volontà e la capacità di discernimento delle persone non ne sarebbe condizionata e poiché le istituzioni agirebbero in base a criteri che ne limiterebbero la portata.

06 - La legalizzazione dell’eutanasia ne incentiverebbe l’uso: l’effetto slippery slope sarebbe dirompente

Legalizzare l’eutanasia ne comporterebbe un utilizzo più ampio, e finanche sconsiderato. Se tale pratica divenisse legale, il numero di persone che la richiederebbero, stimolate dalla sua legittimità, si accrescerebbe. Mantenere la pratica nell’illegalità, dunque, funzionerebbe da deterrente.

Il ricorso all’eutanasia è reale indipendentemente dalla sua legalizzazione. Rendendo questa pratica lecita non i malati terminali non ricorrerebbero ad essa fuori dalla legalità e le procedure eutanasiche sarebbero meglio controllate e gestite, richiedendo, da parte del medico e degli istituti che la praticano, una maggiore assunzione di responsabilità.

07 - Il Parlamento è chiamato, in quanto rappresentanza democratica, a non eludere il confronto sulle tematiche relative al fine vita e a legiferare a riguardo

Il Parlamento deve affrontare il problema del fine vita, calendarizzando una discussione sul tema della legalizzazione dell’eutanasia e compiendo un’indagine sullo stato delle morti in Italia, con il fine di stilare una normativa sull’eutanasia.

La necessità di individuare elementi normativi sul tema dell’eutanasia non è tra i più urgenti problemi dello Stato italiano. Lo Stato non può legiferale su temi, come il fine vita, che toccano le più intime scelte del singolo e non gli compete il diritto di togliere la vita.

 
01

L’eutanasia è l’espressione massima del rispetto della dignità umana e della libertà di autodeterminazione

FAVOREVOLE

In ogni ragionamento che si rispetti, bisogna tenere sempre conto del protagonista della discussione: un essere umano, con le sue peculiarità, le sue sofferenze e le sue inclinazioni. Le vicende umane che entrano in gioco richiedono particolare tatto e un rispetto, ad ogni costo, della dignità e della libertà umana.

CONTRARIO

La libertà e la dignità dell’essere umano vengono salvaguardate anche impedendo che un soggetto o un terzo possano mettere fine ad una vita. L’eutanasia lede l’esistenza dell’individuo e non può sposarsi con una visione cristiana della vita. Sono diversi anche i medici che si oppongono a tale istituto.

 
02

La pratica dell’eutanasia entra in conflitto con la deontologia medica

FAVOREVOLE

La professione medica va intesa in un senso ampio e generale. Oltre allo scopo di curare, cercando di combattere le malattie e allontanare la morte, deve riferirsi anche al paziente in un’ottica globale, cioè perseguire un alleviamento delle sofferenze con i mezzi che la tecnologia permette. Il medico, pertanto, si impegna a garantire una buona vita e, nel caso, ad alleviare le sofferenze dovute a stati vegetativi e incurabili. Il medico deve garantire il rispetto delle scelte e della vita del paziente, non intesa in senso meramente biologico, sostenerlo nelle scelte prese al fine di vivere serenamente la vita ma anche la morte. Il rapporto medico-paziente verrebbe così rafforzato con sentimenti di fiducia: “rendere lecita l’eutanasia porterebbe a un rafforzamento del rapporto di fiducia tra il paziente e il medico, nel quale il malato terminale o inguaribile potrebbe vedere il soggetto in grado di recargli aiuto anche nell’emergenza di una scelta estrema” (Valerio Pocar, L’eutanasia e il diritto all’autodeterminazione, “L’ Ateo”, 2003, 2, p. 8).

 

CONTRARIO

Il medico avvia la sua carriera proclamando con il Giuramento di Ippocrate: “Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio; mi asterrò dal recar danno e offesa. Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio” (“Ordinedeimedicims.it”, consultato in data 12 maggio 2015). Pertanto la provocazione della morte di un malato apporta sul medico aspettative non consone e ne delegittima la professione. La legge punisce i medici che attuano le pratiche di eutanasia. La radiazione dall’albo è la prova che il medico disattende alla sua missione procurando la morte. “L’eutanasia contraddice l’essenza stessa della professione medica nel suo nucleo paradigmatico: l’impegno alla difesa e al rispetto della vita umana. Uno non può violare questo impegno e restare medico e ciò prima, e del tutto indipendentemente, dalle conseguenze legali” (Demetrio Neri, Eutanasia: le ragioni del sì, in Alle frontiere della vita. Eutanasia ed etica del morire, a cura di Marianna Gensabella Funari, vol. 2, Rubbettino, 2003, p. 77).

 

 
03

La sospensione degli alimenti e dell’idratazione viola il diritto all’assistenza

FAVOREVOLE

La somministrazione di alimenti e di idratazione in pazienti in stato vegetativo permanente ha un carattere terapeutico, in quanto si tratta di “trattamenti che sottendono conoscenze di tipo scientifico e che soltanto i medici possono prescrivere [...]. Non sono infatti ‘cibo e acqua’ […] a essere somministrati, ma composti chimici, soluzioni e preparati che implicano procedure tecnologiche e saperi scientifici; e le modalità di somministrazione non sono certamente equiparabili al ‘fornire acqua e cibo alle persone che non sono in grado di procurarselo autonomamente (bambini, malati, anziani)” (Comitato Nazionale per la Bioetica, L’alimentazione e l’idratazione di pazienti in stato vegetativo persistente, “Palazzo Chigi.it”, 30 settembre 2005). Risultano procedimenti artificiali e sono, quindi, pienamente riconosciuti come atti terapeutici, come confermato in trattati medici e dalle magistrature di numerosi paesi. Data questa equipollenza il paziente deve avere la possibilità di rifiutarli secondo quanto stabilito dall’articolo 32 della Costituzione italiana. La sospensione di tali trattamenti rientra nell’ambito del rifiuto all’accanimento terapeutico e non è definibile come eutanasia.

 

CONTRARIO

La tesi argomenta l’indisponibilità di decidere circa la sospensione della somministrazione di alimenti e idratazione anche nel caso di dichiarazioni di trattamento anticipate. Queste pratiche sono considerate atti assistenziali alla vita del paziente e non terapie mediche, pertanto rientrano nel diritto alla vita sancito dalla Costituzione. In quanto non sono definibili come terapie mediche, l’alimentazione e l’idratazione possono essere somministrate senza che violino il diritto al rifiuto dell’accanimento terapeutico. La sospensione di tali trattamenti è equiparabile all’eutanasia in quanto, seppur in forma omissiva, comporta la morte del soggetto, privandolo di cure assistenziali. Pertanto, “la richiesta nelle Dichiarazioni anticipate di trattamento di una sospensione di tale trattamento si configura infatti come la richiesta di una vera e propria eutanasia omissiva, omologabile sia eticamente che giuridicamente ad un intervento eutanasico attivo, illecito sotto ogni profilo” (Comitato Nazionale per la Bioetica, L’alimentazione e l’idratazione di pazienti in stato vegetativo persistente, “Palazzo Chigi.it”, 30 settembre 2005).

 

 
04

Non si possono valutare attendibili le dichiarazioni anticipate di trattamento del paziente

FAVOREVOLE

Il Comitato Nazionale per la Bioetica esamina le argomentazioni a sostegno della possibilità per il paziente di redigere dichiarazioni sul fine vita. Si schierano a favore coloro i quali sottolineano l’ineluttabilità della volontà del malato e riconoscono nell’atto di firma del soggetto coinvolto sul documento riguardo le disposizioni sul fine vita il fondamento del vincolo giuridico affinché questo abbia luogo. Il documento ha validità anche in tempi lontani dalla sua redazione, in quanto, all’atto della sua sottoscrizione, il paziente era consapevole delle sue conseguenze a lungo termine. “La volontà nota e implicitamente o esplicitamente confermata va assunta come ultima volontà valida del paziente, non essendo a nessuno dato di congetturare se e quali altri cambiamenti possano essere intervenuti nel soggetto nel tempo successivo alla perdita della coscienza” (Comitato Nazionale per la Bioetica, Dichiarazioni anticipate di trattamento, “FondazioneLanza.it”, 18 dicembre 2003). Il requisito dell’attualità, ossia ritenere valide le dichiarazioni del paziente soltanto nel momento in cui vengono sottoscritte, implicherebbe il rispetto delle scelte del paziente soltanto finché considerato cosciente.

 

CONTRARIO

Coloro che si dichiarano contrari alla possibilità di concedere al paziente la facoltà di redigere dichiarazioni anticipate circa il trattamento sanitario in caso di futuri stati vegetativi, fondano la tesi su problematiche di carattere etico-giuridico. Così si esprime il Comitato Nazionale per la Bioetica, nel documento Dichiarazioni anticipate di trattamento (“FondazioneLanza.it”, 18 dicembre 2003): “le dichiarazioni anticipate, che importano una protrazione di efficacia nel tempo delle scelte del malato, evidentemente non assicurano il requisito della loro persistenza, ossia dell’attualità di queste nel momento in cui concretamente si determinino le condizioni per cui il medico debba intervenire”. Questo implica che non è vincolante la dichiarazione del paziente perché sottoscritta in un momento distinto da quello in cui verrebbe attuata, e non è garantita la persistenza, nel tempo, delle stesse convinzioni del soggetto.

 

 
05

Legalizzare l’eutanasia e il suicidio assistito comporta un incontrollato incremento di tipologie di persone coinvolte

FAVOREVOLE

Non sussiste una necessità logica che leghi la legalizzazione dell’eutanasia al rischio di abbassare il limite e i criteri in base ai quali essa è concessa, aprendo così a una tipologia indiscriminata di casi. L’argomento presuppone una mancata capacità di discernimento e di valutazione, e dunque di azioni moralmente consone ad impedirlo, da parte di individui ed istituzioni. Legalizzare l’eutanasia non determina automaticamente un ricorso ad essa più massiccio, in quanto la libera volontà delle persone non ne sarebbe condizionata e, inoltre, le istituzioni potrebbero limitarne la portata. Dunque l’argomento, che detta un’automatica consequenzialità, non ha una condivisibile forma logica in quanto sottovaluta sia le capacità di discernimento dei singoli, sia le azioni delle istituzioni. L’argomento è, inoltre, fazioso, poiché non tiene conto delle conseguenze, negative, a cui invece si giungerebbe se l’eutanasia continuasse a non essere legalizzata.

 

CONTRARIO

Quest’argomento segue la logica dello slippery slope. Si sostiene che la legalizzazione dell’eutanasia è il primo passo verso una trasformazione psicologica collettiva nei termini di deterioramento del valore della vita. A livello sociale, tale ideologia si riscontrerebbe in una sempre più diffusa pratica di concedere l’eutanasia non solo ai malati terminali, ma ampliando la categoria di coloro i quali potrebbero risultare “non degni” di vivere. I criteri, dunque, per decidere chi è passibile di eutanasia, sarebbero sempre più vaghi e sfumati, fino ad arrivare a coinvolgere casi di vecchiaia, depressione, o ‘mancanza di voglia di vivere’. Inoltre si aprirebbe il passaggio all’eutanasia involontaria. Infine si rischierebbe di utilizzare criteri ‘economici’ per decretare il fine vita di pazienti le cui cure rappresentano un costo notevole per la società. I consiglieri in materia dello Stato di New York dichiarano che “legalizzare il suicidio assistito costituirebbe una politica pubblica avventata e pericolosa” (TdR) (New York Task Force on Life and Law, “Healt.ny.gov”, novembre 2012), con il rischio di passare da una eutanasia volontaria a una eutanasia obbligata.

 

 
06

La legalizzazione dell’eutanasia ne incentiverebbe l’uso: l’effetto slippery slope sarebbe dirompente

FAVOREVOLE

Secondo i fautori della liceità della morte indolore procurata a malati terminali affetti da patologie dolorose e completamente invalidanti, l’argomento per cui la legalizzazione dei trattamenti di fine vita porterebbe ad un incremento del numero dei casi di eutanasia non solo non corrisponde ad una consequenzialità logica, ma viene smentito dalle numerose indagini statistiche che ne mostrano la non attendibilità empirica. Nel dettaglio, uno studio olandese dimostra che in Olanda, da quando è stata legalizzata l’eutanasia, il numero di casi è ridotto. L’argomento di carattere sociale che sostiene queste tesi riguarda la presenza di morti per eutanasia a prescindere dell’entrata in vigore della legge che lo permette. Rendendo queste pratiche lecite, non si avrebbero più ricorsi ad esse fuori dalla legalità e le procedure eutanasiche sarebbero meglio controllate e gestite, richiedendo, da parte del medico e degli istituti che la praticano, una maggiore assunzione di responsabilità.

 

CONTRARIO

La tesi del progressivo aumento dei casi di morte eutanasica in caso di legalizzazione rientra tra le cosiddette argomentazioni slippery slope, caratterizzate dal fatto di trarre, dalla tesi iniziale, conseguenze di gravità crescente. Stando a questa opinione, avviare la legalizzazione dell’eutanasia comporterebbe un utilizzo più ampio, e finanche sconsiderato, di questa pratica. Nel momento in cui essa divenisse legale, il numero di persone che, stimolate dalla sua legittimità, la richiederebbero, si accrescerebbe. Mantenere la pratica nell’illegalità, dunque, funzionerebbe da deterrente. Le associazioni contrarie alla legalizzazione dell’eutanasia riportano studi statistici a conferma della loro tesi, in particolare il caso dell’Olanda in cui, a seguito della legalizzazione, “nel 2011 sono state 3.695 le persone che hanno chiesto di morire, aiutate dal Servizio sanitario nazionale, mediante eutanasia o suicidio assistito. Il 18 per cento in più dell’anno prima, e il doppio rispetto al 2006” (Assuntina Morresi, Dieci anni di legge su eutanasia e suicidio assistito in Olanda e in Belgio. Crescono i casi e crescono indifferenza e arbitrio,Il Foglio”, 17 gennaio 2013).

 

 
07

Il Parlamento è chiamato, in quanto rappresentanza democratica, a non eludere il confronto sulle tematiche relative al fine vita e a legiferare a riguardo

FAVOREVOLE

Il Parlamento non dovrebbe ignorare il problema delle scelte di fine vita e eludere un sereno e approfondito confronto di idee sulle condizioni estreme di migliaia di malati terminali in Italia” scriveva l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (Eutanasia: Napolitano, Parlamento non eluda confronto, “Ansa.it”, 18 marzo 2014). L’appello del presidente segue le richieste dell’Associazione “Luca Coscioni”, che da anni è impegnata sul fronte della legalizzazione dell’eutanasia. Si richiedono al Parlamento una calendarizzazione dell’argomento e un’indagine sullo stato delle morti in Italia, con il fine di stilare una legislazione a riguardo per mettere ordine nella questione. All’appello del presidente Napolitano seguono i dibattiti parlamentari che evidenziano le scissioni tra i sostenitori della necessità di legiferare sull’argomento e coloro che, al contrario, non ritengono la questione una priorità.

 

CONTRARIO

La necessità di individuare elementi normativi sul tema dell’eutanasia non è tra i principali e più urgenti problemi dello Stato italiano. Anzi, l’appello di Napolitano, che chiede di calendarizzare la discussione, suscita dubbi e perplessità a livello etico oltre che politico. Il dubbio è se, e in che misura, lo Stato possa legiferare su temi delicati quali il fine vita, e dunque entrare “legalmente” nelle più intime scelte del singolo. Il diritto di “togliere” la vita non compete allo Stato. La legalizzazione, pur con dei limiti concordati, sarebbe il primo passo verso una progressiva e totale accettazione dell’eutanasia.

 

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